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Ancora tagli alle pensioni

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La riforma Fornero delle pensioni rimane una ferita aperta nello stato sociale: allunga i tempi di permanenza al lavoro, impedisce il ricambio generazionale, ma non interviene sulle storture del sistema contributivo per salvaguardare l’assegno pensionistico. Infatti, con il calo pluriennale del...

La riforma Fornero delle pensioni rimane una ferita aperta nello stato sociale: allunga i tempi di permanenza al lavoro, impedisce il ricambio generazionale, ma non interviene sulle storture del sistema contributivo per salvaguardare l’assegno pensionistico.

Infatti, con il calo pluriennale del PIL si opera un altro taglio alle pensioni pubbliche, per effetto del tasso annuo di capitalizzazione dei montanti contributivi che, per la prima volta, diventa negativo.

In una nota congiunta CGIL, CISL e UIL chiedono al Governo e al Parlamento un emendamento alla Legge di Stabilità che preveda un tasso di capitalizzazione minimo che impedisca la svalutazione del montante contributivo quando il PIL è negativo.
È a rischio impoverimento il futuro pensionistico di milioni di Italiani.

Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Altro emendamento, egualmente indispensabile, riguarda l’eliminazione del previsto aumento dall’11,5% al 20% sui rendimenti annuali dei Fondi Pensione. “Colpire la previdenza pubblica per effetto della recessione e quella integrativa per effetto di una scelta politica sbagliata – afferma la segretaria confederale della CGIL Vera Lamonica insieme ai colleghi di CISL e UIL – produce conseguenze disastrose che non sono più tollerabili”.

La riforma epocale della ex ministra Fornero, insieme alle storture del sistema contributivo che non prevede correttivi in caso di deflazione, stanno disegnando un futuro di incertezza e di povertà per coloro che andranno in pensione nei prossimi anni. Questo era il fine di quella riforma: alienare dallo Stato la protezione della anzianità, rappresentata dal sistema pensionistico, inconcepibile per politiche liberiste che mirano al pareggio di bilancio invece che alla tutela dei diritti.

In questo senso va letta la triste vicenda delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola che si riconoscono nella quota 96, raggiunta alla fine dell’anno scolastico 2011/2012, invece che al 31 dicembre 2011. Nonostante i pareri favorevoli al loro diritto al pensionamento, ad oggi alcun governo si è mosso in tal senso. A nostro avviso non per motivi economici, ma per non aprire vulnus in quella deleteria riforma.

In Parlamento, promosso anche dalla FLC CGIL, giace l’ennesimo emendamento, questa volta alla Legge di stabilità, per consentire al personale interessato di far valere il diritto alla pensione. L’ultima sentenza del giudice del lavoro di Salerno che riconosce tale diritto a 32 lavoratori dovrebbe far da viatico all’emendamento.